Una camera oscura nello spazio

cameraoscuraLa camera oscura (camera obscura, fotocamera stenopeica o camera ottica) è uno strumento semplice e antico. E’ facile costruirla. Basta chiudere al buio una stanza e lasciar passare la luce esterna solo da un piccolo foro. Se il foro è abbastanza piccolo e se l’ambiente interno è abbastanza buio, sulla parete di fronte si formerà “magicamente” l’immagine capovolta del mondo esterno. Il fenomeno, conosciuto fin dall’antichità e discusso anche da Aristotele e Leonardo da Vinci, è dovuto alla propagazione rettilinea della luce. La camera oscura è stata utilizzata nei secoli passati per scopi scientifici (ad esempio per l’osservazione delle eclissi di Sole) e artistici (ricordiamo il Canaletto che talvolta la usava per disegnare) ed è alla base del funzionamento delle attuali camere fotografiche.

Camera oscura del XVIII secolo

Camera oscura del XVIII secolo (da wikipedia)

Uno degli aspetti interessanti della camera oscura è la sua capacità di ingrandimento.  Più piccolo è il foro e più nitida sarà l’immagine. Maggiore è la distanza tra il foro e la parete di proiezione, maggiore sarà l’ingrandimento. Naturalmente c’è uno svantaggio che impone un compromesso: rimpicciolendo il foro e allontanando la parete, la luminosità dell’immagine diminuisce. Oltre un certo limite il nostro occhio non riesce più a percepirla.

Data la sua estrema semplicità, perché non costruire una gigantesca camera oscura, portarla nello spazio… e osservare l’universo?

Sembra un’idea bizzarra ma, tra le proposte apparentemente fantascientifiche del NIAC (NASA Innovative Advanced Concepts, un programma della NASA che finanzia ricerche innovative) troviamo proprio qualcosa di simile.

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Rappresentazione artistica del New Worlds Imager (da NASA)

L’idea ha un nome: New Worlds Imager, un sistema ipotetico costituito da uno schermo in orbita (lo starshield) di almeno un chilometro di diametro dotato di un foro centrale di una decina di metri di diametro, e da uno specchio collettore di luce, in pratica un telescopio, anch’esso in orbita e situato ad almeno duecentomila chilometri di distanza dallo schermo.
Lo spazio ha numerosi vantaggi. Primo fra tutti, la camera che fa da contenitore è inutile. Qui sulla terra la camera serve per fare buio, cioè per proteggere la debole immagine che si proietta sulla parete, dalla luce ambientale dovuta alla diffusione atmosferica. Al di fuori dell’atmosfera terrestre questo problema non sussiste. Un secondo fondamentale vantaggio è quello di poter distanziare enormemente il foro dal telescopio in modo da ottenere una straordinaria capacità di ingrandimento. E’ come se si costruisse una camera oscura di dimensioni pari a oltre i due terzi della distanza tra la Terra e la Luna. Una tale distanza impone comunque un’elevatissima precisione nelle capacità di puntamento e nella stabilità di assetto dei due strumenti in orbita.

Animazione del dispiegamento dello starshield (da NASA/JPL-Caltech)

I risultati sarebbero davvero eccezionali: si potrebbero osservare i dettagli della superficie dei pianeti extrasolari, fenomeni atmosferici, mari, continenti, con una risoluzione di cento chilometri. Utilizzando uno spettroscopio si potrebbero analizzare le sostanze chimiche, rilevando la presenza di acqua, ossigeno o anidride carbonica, ingredienti indicatori di una possibilità di vita simile alla nostra. Queste osservazioni si potrebbero estendere ai più vicini sistemi extrasolari, quelli presenti entro un raggio di 30 anni luce. Non sono pochi: in questo volume di spazio si trova un migliaio di stelle e la probabilità di trovare pianeti delle zone abitabili circumstellari è elevatissima.

Niente male per una camera oscura…