Quello che potrebbe sembrare il macabro trofeo di una feroce tribù, si rivela essere un semplice frutto secco, la capsula di una piccola pianta mediterranea che cresce comunemente sui muretti e le pietraie, chiamata Bocca di Leone comune (Antirrhinum majus).
La capsula è dotata di tre fori dai quali fuoriescono i semi maturi e la nostra propensione a riconoscere delle forme facciali in ogni immagine la trasforma facilmente in un teschio. Il fatto curioso è che anche la corolla di questa stessa pianta ha una simmetria bilaterale che ricorda una faccia con una grande bocca.
I botanici stessi usano, in questi casi, una terminologia tecnica che ha a che fare con il volto: caratterizzano questa corolla come bilabiata (cioè dotata di due lobi detti labbri) e in particolare la corolla può essere personata o mascherata quando i labbri sono chiusi e suggeriscono la forma di un volto umano (o di una maschera). Il nome del genere Antirrhinum deriva dal greco anti (αντί), “simile a” e rhis (ῥίς, ινοϛ), “naso”. Perciò “simile a un naso”.
Una pianta con queste caratteristiche non poteva passare facilmente inosservata e i suoi nomi volgari sono significativi: Erba strega, Bocca di lupo, Fior del capriccio. Gli spagnoli la chiamano Boca del dragón, i francesi Gueule-de-loup e gli inglesi Snapdragon, parola che suggerisce anche il movimento brusco o lo schiocco per l’apertura improvvisa della bocca di un drago.
Sembra che anticamente fosse usata per difendersi dalle stregonerie: non c’è da stupirsi!
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