La biglia colorata

Forografia della Terra scattata dall’astronauta William Anders il 24 dicembre 1968 durante la missione Apollo 8.

“Può capitare che eventi straordinari ci mettano davanti alla reale dimensione delle cose. Sono eventi che lasciano il segno, come ad esempio quelli vissuti dagli astronauti delle missioni Apollo. Questi uomini non erano poeti e neppure filosofi, erano uomini d’azione, prevalentemente piloti militari. Arrivati in prossimità della Luna dopo anni di addestramento, saturi di nozioni tecniche, incatenati a sequenze estenuanti e interminabili check-list, questi individui erano pronti a tutto fuorché alle vertigini del volo esistenziale. Invece, proprio loro, a un certo punto si sono voltati e hanno visto il nostro pianeta sorgere dietro l’orizzonte della Luna. In un istante, questi uomini hanno guadagnato un senso del mondo così nuovo, concreto e profondo da poter essere difficilmente condiviso con altri individui. Non ci sono molti modi per esprimere la potenza di ciò che gli astronauti hanno provato nel preciso momento in cui hanno visto la Terra dalla Luna; e infatti tutti usano più o meno le stesse parole.

«Il fatto che da quella distanza puoi alzare il tuo pollice e puoi nascondere la Terra dietro quel pollice. Tutto ciò che hai conosciuto, ciò che ami, le tue preoccupazioni, i problemi del mondo intero dietro a un dito…»

(Jim Lowell)

«Ho sollevato il pollice, ho strizzato l’occhio e il mio pollice ha cancellato l’immagine della Terra. Non mi sono sentito un gigante. Mi sono sentito molto piccolo.»

(Neal Armstrong)

«Più ci allontanavamo più [la Terra] diventava piccola, fino a quando non si è ridotta alle dimensioni di una biglia. Questo oggetto bellissimo, vivo, sembrava così fragile, così delicato da potersi sbriciolare solo toccandolo con un dito. Vedere questo non può che cambiare un uomo.»

(James B. Irwin)

Queste parole possono apparire ingenue, ma a pensarci bene sono commoventi, perché non esprimono concetti, non argomentano: sono l’espressione di uno stupore immediato, genuino e istintivo. Tecnici che per anni avevano sognato di esplorare la Luna, inaspettatamente scoprono la Terra: vedono finalmente il nostro pianeta da lontano (da circa 300 mila chilometri), nella giusta prospettiva, nella sua rotondità, per quello che è. Tutte le sofferenze, le insormontabili divisioni, tutti i sogni, tutto è lì, su una biglia colorata che si può nascondere con un pollice. Una volta tornati a casa, gli astronauti rielaborano ciò che hanno vissuto sulla Luna e rilasciano interviste a giornali e televisioni. Anche quando le vertigini del momento sono passate, ricordano lo stupore di aver visto tutta la tragedia e la commedia umana concentrata in un unico punto sperduto e periferico, di aver realizzato che il cielo caldo e luminoso che di giorno abbraccia gli uomini è in realtà uno strato sottilissimo, e che tutto intorno è una notte immensa, buia e gelida.

Nel racconto degli astronauti l’iniziale angoscia si trasforma presto in un senso di liberazione, di serena meraviglia: improvvisamente, sembrano scrollarsi di dosso non solo la fatica della loro missione, ma anche il peso di migliaia di anni di tormentata storia umana. Molti cercano di esprimere un moto di affetto profondo e costruttivo per quell’oggetto fragile e per chi lo abita, un’intuizione potente che sembra, per un attimo, spazzare via le nebbie e le trappole ideologiche del XX secolo. Alcuni si spingono a sostenere che quella visione spettacolare, se fosse accessibile ai più (inclusi i potenti del mondo), potrebbe convincere l’intera comunità umana a ricominciare daccapo, a mente fresca.

Un poeta americano, Archibald McLeish, cercherà di interpretare lo stato d’animo degli astronauti in poche righe ecumeniche riportate sotto la prima fotografia della Terra vista per intero, pubblicata sulla prima pagina del «New York Times» il 25 dicembre 1968: «… Vedere la terra veramente com’è, piccola e azzurra e meravigliosa nel silenzio eterno in cui fluttua, significa vedere noi stessi come abitanti della Terra, tutti insieme, fratelli su quell’incanto luccicante in mezzo al gelo eterno: fratelli consapevoli di essere tali».

Di fatto, queste parole hanno influenzato ben poco la vicenda collettiva dell’uomo . Rimane tuttavia l’impressione che il gesto di voltarsi a guardare la Terra dalla Luna sia riuscito, seppure per un attimo, là dove la cultura aveva fallito per secoli: l’uomo vede finalmente le cose come stanno e diviene consapevole della loro vera dimensione, del loro valore. Come se la rivoluzione copernicana si fosse incarnata in un gesto, manifestando il suo significato più profondo con più di quattrocento anni di ritardo.

Certo, è difficile descrivere le vertigini che hanno provato gli astronauti nel momento esatto in cui hanno toccato, letteralmente con un dito, la meravigliosa modestia della Terra. In fondo, è anche inutile provarci; certi fatti sono dirompenti solo nella loro immediata concretezza, quando obbligano i nostri sensi a toccare il mistero delle cose per quello che sono. Nel 1968 si sapeva già che la Terra era rotonda, periferica e infinitamente piccola in un universo immenso. Ma un conto è saperlo, un altro è sentirlo.”

Da Nulla di Più Grande, Giulio Tononi, Marcello Massimini, Baldini&Castoldi, 2013.