Le vipere

Serafino, al Fino, era un grande nemico delle vipere.

Egli, se avesse potuto, se le sarebbe mangiate vive da quanto le odiava.

Un meriggio caldo d’estate si risaliva il Carpè dopo essere stati a Fusine a dottrina; il sentiero era quasi coperto dall’erba alta: “E’ tempo di vipere” disse al Fino” statemi dietro e guardate con un occhio sempre il sentiero”.

Così ci incamminammo per l’erta, ma giunti alla cross dele strade eccone una che si crogiolava al sole nel bel mezzo della terra calda del sentiero.

“Adesso l’ammazzo non importa come!” esclamò al Fino, ma mentre guardava a destra e a sinistra, veloce, per trovare un sasso o un bastone, il rettile, accortosi della vicinanza di qualcuno, scivolò piuttosto in fretta nel mezzo dell’erba e sparì nel prato.

Poco dopo un’altra scappò dal sentiero. Al Fino diventava sempre più eccitato e rabbioso.

“Se ne trovo ancora una giuro che l’ammazzo!” esclamò ancora ed era munito di un ramo.

Intanto avevamo passato il Pian de Palùa e camminavamo cauti attraverso le rive sul sentiero obliquo verso sinistra che, giunto all’ultimo di una fila di frassini vecchi a noi sovrastanti, svolta attorno a questo e continua fuori pianeggiante al di sopra di questi alberi. Giunto proprio in questo punto vedo al Fino che si abbassa fulmineo, prende qualcosa e lo sbatte contro il tronco del vecchio frassino: era una vipera che ci aveva lasciata la testa schiacciata.

AL Fino, trionfante, che l’aveva presa per la cosa e l’aveva sbattuta sul tronco senza lasciarle il tempo di voltarsi disse: “Ed ora alla prossima staccherò la testa con i denti!

Ci rimettemmo in marca esterrefatti.

Al Fino e àutre storie – sommario