La partenza

Ma un autunno, triste autunno, vide la fine della fanciullezza spensierata. Eravamo in camera con la mamma che mi aiutava a vestirmi: un vestito nuovo, per l’occasione, e a preparare la valigia con il corredo per il collegio. Bussarono alla porta, era l’Albina che entrò e mi appuntò un bel fiore all’occhiello della giacca dicendomi: “Non dimenticarti di me. Al Fino non ha voluto venire a salutarti perché si sarebbe troppo commosso” e scappò via…

Infatti lui aveva, nonostante tutto, un cuore grande così e non avrebbe sopportato addii, sarebbe stato troppo per lui, avevamo passato troppi bei giorni assieme per poter così all’improvviso dire addio a tutto senza commuoversi almeno un po’.

Partimmo quel pomeriggio e quanto fu amaro quel sentiero giù per il Carpè… !

In corriera diedi un ultimo sguardo al paese, al Pelmo, mentre un nodo mi chiudeva la gola.

A Belluno in collegio dopo di aver svolto le pratiche dell’accettazione, mia mamma mi salutò e poi, prima di uscire, si fermò a guardarmi dalle vetrate che davano nel cortile dove mi aveva lasciato e dove tanti altri ragazzi stavano giocando. Io, solo, camminavo lentamente lungo le pareti come un animale selvatico in gabbia. Come deve aver sofferto quella povera donna! Se ne andò con le lacrime agli occhi.

Dopo qualche giorno andò alla fiera a vendere la mucca che aveva sempre accudito e, con mia sorella poi partì per Montebelluna dove il nonno, che aveva un ufficio postale, l’aspettava per lavorare là come prima di sposarsi.

I giorni volavano in collegio, sempre occupati a scuola, a studiare, a giocare, ma quando veniva la sera e si andava per dormire nella grande camerata, la nostalgia mi prendeva e mi tormentava il pensiero di Coi, dei miei amici che non avrei più rivisto per chissà quanto tempo e sotto le coperte alle volte piangevo, alle volte immaginavo qualche possibilità di fuga che, attraverso le montagne, mi portasse nella mia cara valle. Ma lassù non c’erano più mamma e mia sorella e la casa era chiusa e fredda nel gelo invernale.

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