La guerra

Lassù, sopra le casere, sulla destra, si erge una parete rocciosa alta circa 80 metri che è chiamato il Crep. La sua frana forma un lungo macereto che va fino a lambire il paese di Brusadaz, sicché la parte alta era di Coi e quella bassa dell’altro paese.

Qui fra massi anche molto grossi che da secoli i paesani ricavavano le pietre da costruzione.

Qui i giovani andavano a giocare, a costruire casòt ricavati da qualche incavatura dei grossi massi. Lì mettevano gli archi e frecce con i quali andavano a caccia.

Per noi invece il luogo era il campo di guerra contro quelli di Brusadaz.

Avevamo costruito una capanna “fortilizio” in pietra sotto un grosso masso sulla cima del quale sventolava una bandierina tricolore e faceva buona guardia a turno una sentinella dietro un muretto con feritoia.

Altri costruivano muri di difesa ed allestivano trincee. Da un ceppo rivolto verso Brusadaz avevamo ricavato un cannone: con una vecchia lunga trivella (con la quale preparavamo i tronchi col buco per l’acqua per l’acquedotto) abbiamo praticato un foro nel centro che, riempito di polvere da mina e di sassi e munito di corde da miccia, il tutto ben tappato con terra bagnata, al momento opportuno, sarebbe stato il fiore all’occhiello del nostro sistema difensivo.

Nel “fortino” avevamo di tutto: un bronzino per cuocere le patate (rubate nei campi più vicini), le fionde, gli archi con le frecce, delle baionette (ritrovate sul Col di Lana della guerra 1915-18), e perfino una cassetta di medicamenti.

Settimane abbiamo lavorato per preparare tutto ciò finché una domenica, a Fusine fuori dalla messa, dichiarammo ufficialmente guerra a quelli di Brusadaz. Le azioni belliche sarebbero iniziate al pomeriggio.

Ancora col boccone in bocca ci radunammo in piazza e, quando fummo tutti, ci avviammo verso il Crep, piuttosto velocemente.

Il sole caldo d’agosto riscaldava i sassi del macereto quando arrivammo, dopo pochi minuti, nei nostri accampamenti.

Ordinai subito (io ero il capo) al Fredo, che era il più giovane, di andare nel suo posto di sentinella sopra il grande masso dove c’era la bandierina e stare bene attento a guardare i movimenti dei nemici che avevano promesso di venire su a distruggere i nostri accampamenti.

“Stanno salendo e sono a tiro di fionda!” urlò la sentinella.

Immediatamente noi facemmo scoccare, ben nascosti nelle trincee, le nostre fionde e una gragnuola di sassi investì i nemici che, ben riparati dietro i sassi continuavano a salire.

“Ora sono a tiro di freccia!” gridò ancora al Fredo.

Posammo le fionde e mettemmo mano agli archi lanciando le nostre frecce (erano bastoncini di legno appuntiti col temperino) ma nemmeno queste ebbero l’esito desiderato e i nemici continuavano a salire saltando di sasso in sasso e nascondendosi dietro di essi.

Lanciammo alcuni giavellotti e poi ci ritirammo dalle postazioni e, dato ordine al granatiere Aldo di dar fuoco alla miccia del cannone, ci riparammo tutti dietro al grande masso per paura che scoppiasse anche il ceppo come una mina.

Rientrò anche l’Aldo e dopo un po’ un forte boato rimbombò nella valle e una fitta sassaiola investì in pieno i nemici che, presi da grande spavento, si voltarono e se la diedero a gambe levate saltando da un sasso all’altro come caprioli impazziti e non si fermarono che nel loro accampamento laggiù tra i larici vicino al loro paese.

Per quel giorno ne avevano avute abbastanza ma nel loro animo c’era il desiderio di vendicarsi di tanto smacco subito.

Ormai era venuta sera ed anche noi rientravamo a Coi tutti euforici per la vittoria , ma la guerra non era finita.

Dopo due o tre giorni ritornammo inte sota al Crep per mettere un po’ di ordine nel nostro accampamento, ma, qui giunti trovammo una brutta sorpresa: i nemici erano venuti su ed avevano distrutto tutto quello che si poteva distruggere e portato via le nostre cose.

Non avevamo più un’arma, una fionda, niente… ma ci avviammo lo stesso cupi e guardinghi verso la loro capanna; e giù, adagio, per paura di trovarli ma, per nostra fortuna, arrivati al loro accampamento constatammo che non c’era nessuno. Tutto silenzio.

Approfittammo subito della propizia occasione e, dopo esserci appropriati delle nostre cose che trovammo nella capanna, vi appiccammo il fuoco e ce la demmo a gambe levate verso Coi.

Così terminò la campagna contro quelli di Brusadaz e sotto il Crep ritornò il silenzio rotto soltanto da qualche frana di sassi staccatasi, di tanto in tanto, dalla parete di roccia marcia soprastante il grande macereto.

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