All’altezza dell’ultima casera la strada si biforca: una parte sale a destra fra i prati e il bosco ed entra in quel largo macereto che segna la grande frana del Pelmo caduta in tempi remoti. Qui gli abeti e i larici e pini mughi si alternano a sassi più o meno grandi che formano a Piera dal Bosch il luogo più interessante con monoliti alti anche trenta metri e pareti verticali per la gioia di noi tutti alpinisti in erba.
Ma a noi, allora, interessava quell’acqua che nasceva proprio lì e scorrendo in rivoli formava più a valle il Ru de mež che si getta nel Maè.
Su di un costone avevamo scoperto della creta. Il luogo era vicino all’acqua e noi, costruito un canaletto, ce la portammo dove, con la creta e legno e chiodi avevamo costruito i nostri mulini.
Ad ogni giro di ruota un martelletto batteva un colpo su una specie di incudine e questo colpo si udiva da lontano.
Quando si andava a Piera dal Bosch, giunti al Sass dela Bissa, ci si fermava e in silenzio assoluto si aguzzavano le orecchie per sentire il battito dei martelli. Naturalmente il più forte e il migliore era quello del Fino (e guai a contraddirlo!).
Con la creta io che ero mezzo artista ho plasmato anche la testa di una medusa coi suoi capelli di serpenti.
Questa rimase qualche giorno poi la creta seccò e si rovinò tutto con grande nostro e specialmente mio dispiacere che ne avevamo fatto un totem.
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