Longitudini e pozioni magiche

Dovete fare un viaggio per mare e vi manca un buon orologio per calcolare la posizione della nave?  Procuratevi innanzitutto la polvere di simpatia di Sir Kenelm Digby. Prima di partire prendete un cane, praticategli una ferita e poi bendatela. Togliete la benda a consegnatela ad un assistente a terra il quale disporrà anche della polvere di simpatia. Salpate portando con voi il cane ferito ma prima di partire istruite il vostro assistente su un compito da svolgere in vostra assenza: ogni giorno, a mezzogiorno in punto dovrà sparpagliare sulla benda qualche pizzico di polvere simpatica. Durante il viaggio avrete cura di osservare attentamente il cane: nell’istante in cui si metterà a guaire disperatamente saprete che quello è il segnale orario di mezzogiorno del vostro porto di partenza. Confrontatelo con il mezzogiorno della posizione della vostra nave e potrete calcolare la longitudine. Ah, non dimenticate di mantenere sempre aperta la ferita del vostro cane: se dovesse guarire sarebbe un guaio!

Sembra una storiella macabra ma ci fu qualcuno (1) che, nel 1688, pubblicò questa proposta per risolvere l’annoso problema della longitudine. Forse l’intenzione era quella di scrivere una satira sul proliferare di teorie al riguardo, spesso inutili e bizzarre, e sempre più diffuse con il diffondersi dei viaggi per mare, specialmente verso il nuovo continente. Sembra che nessuno abbia messo in pratica questo metodo. Ma se qualcuno ci avesse provato davvero non mi meraviglierebbe poi molto.

Misurare la latitudine è sempre stato un gioco da ragazzi. D’accordo, ci vuole un’infarinatura di astronomia per capire il perché di quello che si sta facendo, ma il metodo è semplicissimo, funziona sempre e in qualunque luogo del mondo. E’ sufficiente un piccolo cannocchiale con montatura graduata puntato sulla stella Polare. In mancanza di strumenti così sofisticati ci si può arrangiare anche con un filo a piombo o addirittura con un semplice bastoncino piantato a terra che proietta l’ombra del sole. La latitudine, è la nostra distanza angolare dal piano dell’equatore e, dato che la disposizione del piano equatoriale (come pure dell’asse di rotazione terrestre) è fissa rispetto alle stelle, osservando il cielo si può sempre dedurre la propria posizione rispetto ad essa.

E’ molto più complesso misurare la longitudine, cioè la distanza angolare tra il nostro piano meridiano e il piano del meridiano di riferimento, proprio perché quest’ultimo è necessariamente convenzionale. Non c’è alcuna ragione fisica della scelta del meridiano di Greenwich come meridiano zero piuttosto che un qualsiasi altro meridiano. Non trattandosi di una preferenza fisica, come nel caso dell’equatore, la scelta della posizione del meridiano zero, il meridiano “più importante del mondo”, è sempre stata una scelta di natura squisitamente politica, basata su una logica di supremazia economica, militare e culturale di una certa nazione piuttosto che di un’altra.

“Tre sono le cose impossibili per l’uomo: il moto perpetuo, la medicina universale e la soluzione del problema delle longitudini” Jonathan Swift, Gulliver’s travels

Per misurare la longitudine non si può fare a meno del tempo. Se ci troviamo in mare e sappiamo prevedere con certezza che oggi una certa stella passa al meridiano di Greenwich alle ore 20.15 mentre noi la vediamo passare al nostro meridiano alle 22.15 ne consegue che il nostro meridiano forma con il meridiano di Greenwich un angolo pari a un ventiquattresimo dell’angolo giro; un ventiquattresimo di 360° gradi corrisponde a quindici gradi di longitudine. Inoltre, dato che la stella è passata prima su Greenwich e poi sul nostro meridiano, e non viceversa, la nostra posizione è sicuramente ad ovest di Greenwich. Infatti la terra ruota da ovest verso est e, di conseguenza, il moto apparente della volta celeste è da est verso ovest: le stelle passano prima sui meridiani orientali rispetto a quelli occidentali.

Ora, la parte più difficile non è quella di prevedere a che ora di un certo giorno una certa stella passerà al meridiano di Greenwinch. Non è certo un gioco da ragazzi ma è facilmente deducibile con pochi calcoli basati sull’ascensione retta e il tempo siderale. Il problema più complesso è sempre stato quello di avere a disposizione un orologio affidabile che sia in grado di rimanere  ben sincronizzato con l’ora di Greenwich per un tempo sufficiente da coprire l’intera durata del viaggio.

Il primo orologio navale H1 di John Harrison

H1, il primo orologio marittimo sperimentale  costruito da John Harrison del 1735

L’errore di un solo minuto equivale ad un errore di una quindicina di miglia se ci si trova nei pressi dell’equatore. Oggi un buon orologio al quarzo sarebbe sufficiente per raggiungere la precisione di un secondo corrispondente a un quarto di miglio. Un tempo, anche i migliori orologi a pendolo diventavano del tutto inutili, specialmente a bordo di una nave il cui movimento ne alterava in pochissimo tempo l’affidabilità. La storia delle soluzioni proposte per risolvere il problema della longitudine è una storia di idee e tentativi che hanno impegnato le migliori menti umane per diversi secoli. Tra il diciassettesimo e il diciottesimo secolo le linee di ricerca si erano ridotte fondamentalmente a due: la prima consisteva nel trovare un fenomeno astronomico prevedibile che funzionasse da “orologio astronomico” utile per regolare l’ora del navigante, la seconda era quella che poi si dimostrò vincente: riuscire a costruire un orologio abbastanza preciso e insensibile ai movimenti del mare che potesse rimanere sincronizzato per un tempo sufficientemente lungo. I primi orologi di questo tipo, gli orologi Harrison del diciottesimo secolo, sono esempi straordinari dell’ingegno e dell’intelligenza umana.

Una lettura consigliata su questo argomento: Longitudine di Dava Sobel.

(1)

La “teoria del cane ferito”, è stata proposta in un libretto anonimo dal titolo Curious Enquiries (1688) da attribuire forse allo scrittore William Winstanley (1628-1698).  Nel diciassettesimo secolo era nota una polvere magica chiamata polvere di simpatia, studiata diligentemente da Sir Kenelm Digby, un cortigiano inglese appassionato di astrologia e alchimia. Secondo Digby la polvere di simpatia agiva a distanza: se la si sparpagliava sulle bende usate precedentemente per curare una ferita, il paziente ne risentiva ugualmente dell’effetto anche se le bende erano state tolte da un pezzo. Un unico piccolo difetto: il paziente percepiva l’azione terapeutica della polvere magica come un intenso, improvviso dolore.