Vasi di terracotta, sciami d’api e granelli di polline: breve storia della caccia all’atomo

L’idea che la materia sia fatta di piccolissime particelle indivisibili è molto antica: è stata suggerita per la prima volta dal filosofo greco Democrito, circa duemilaquattrocento anni fa.

coccioSe tagliamo a metà una ciotola di terracotta, o un ramo, o qualsiasi altro oggetto, e poi lo dividiamo ancora a metà, e poi ancora a metà… e immaginiamo di poter andare avanti così  anche quando il frammento da dividere è diventato invisibile, sorgerà spontanea una domanda: potremo continuare a dividere all’infinito o si arriverà ad una particella che non sarà più ulteriormente divisibile?

Democrito rispondeva dicendo che questo frammento indivisibile esiste e lo chiamò atomo, che significa appunto non divisibile (era un neologismo per la suo idea filosofica oppure un monito a non dividere l’atomo? A volte mi sorge questo dubbio).

Per giungere alle prove scientifiche della natura atomica della materia bisogna aspettare almeno duemiladuecento anni e immaginare uno scienziato svizzero alle prese con uno sciame d’api.

Il matematico Daniel Bernoulli (1700-1782)  affrontò il problema dell’esistenza degli atomi in modo originale. Anche se gli atomi sono troppo piccoli per essere visibili e anche se l’azione di un singolo atomo ha effetti che non possiamo in alcun modo percepire e misurare,  pensava Bernoulli, il comportamento di un insieme abbastanza numeroso di  atomi deve avere degli effetti visibili e registrabili nella normale vita quotidiana. Se non possiamo osservarli direttamente, dobbiamo poterli osservare indirettamente.

Bernoulli non era solo un matematico ma anche un botanico ed io lo immagino non solo seduto al tavolino a fare calcoli, ma anche in giro per i prati a raccogliere piante. Immagino anche che durante una di queste escursioni sia stato aggredito non solo da uno sciame d’api  ma anche da un’idea brillante.

Probabilmente paragonò una massa di gas ad uno sciame d’api in continuo movimento.  Gli atomi del gas,  come le api, si muovono continuamente in ogni direzione. Se chiudiamo il gas in un contenitore, gli atomi, a causa del loro moto incessante e caotico si scontrano tra loro e rimbalzano, ma si scontrano e rimbalzano anche contro le pareti interne. Lo scontro di un singolo atomo sulla superficie interna del contenitore ha un effetto talmente piccolo da non essere misurabile, ma gli atomi sono talmente numerosi che gli scontri sulle pareti sono frequentissimi e la somma delle loro spinte è abbastanza grande da poter essere percepita e misurata: la conseguenza sensibile è la pressione del gas sulle pareti del contenitore.

Prendi una siringa senza ago, solleva il pistone, tappa il forellino con un dito e prova a spingere il pistone. L’aria contenuta nella siringa si può comprimere solo un pochino e, più spingi, più difficile è la compressione. La fatica che si percepisce nel comprimere l’aria è causata proprio dagli atomi che rimbalzano sulle superfici interne della siringa e quindi anche sulla superficie del pistone. E’ la pressione del gas.

Una domanda sorge immediata: perché la pressione aumenta quando si riduce il volume? Bernoulli fornì una brillante interpretazione atomica a questo fenomeno che lo portò a predire un comportamento tipico dei gas. Se comprimendo si riduce il volume del gas a metà, diceva Bernoulli,  si riduce a metà anche il percorso casuale medio che un atomo compie tra due collisioni successive. Quindi si riduce a metà anche il tempo medio tra due collisioni. Quindi il numero di collisioni su una superficie raddoppia. Di conseguenza deve raddoppiare la pressione. Ed è proprio quello che accade.

Solo immaginando una massa di gas come composta da atomi si riesce a predire con precisione la relazione tra volume e pressione.

Grani di polline (da Wikipedia)

Grani di polline (da Wikimedia)

La prova definitiva dell’esistenza degli atomi giunge due secoli dopo. E tra i protagonisti di questa storia troviamo  un altro botanico di nome Robert Brown e Albert Einstein. Nel 1827 Brown osservava con una lente di ingrandimento una goccia d’acqua ricca di polline e notò che i piccolissimi granelli si agitavano senza sosta con un movimenti a zig zag simili a quelli di un ubriaco. Il moto, descritto dallo scienziato senza comprenderne le cause, fu chiamato moto browniano.

Albert Einstein, circa ottant’anni dopo, stava completando i suoi studi sulla relatività speciale e sull’effetto fotoelettrico e, forse in qualche momento di riposo, tanto per non annoiarsi, risolse anche il problema di Brown affermando che i granelli di polline si muovono in quel modo caotico perché, non essendo troppo grandi rispetto alle dimensioni delle molecole, subiscono degli urti asimmetrici: è molto probabile che, in ogni istante, il numero di molecole che colpiscono il granello da un lato non sia lo stesso del numero di molecole che lo colpiscono dal lato opposto. Bastano lievi asimmetrie di urti per produrre effetti sensibili su un granello molto leggero. Il fenomeno è strettamente legato alle dimensioni delle molecole: quanto maggiore è il loro diametro tanto maggiore sarà lo squilibrio degli urti e quindi la velocità del moto browniano. Einstein, forse in un’altro momento di pausa, formulò matematicamente questa relazione  definendo quindi un metodo di calcolo delle dimensioni delle molecole di un qualsiasi liquido.

Sappiamo che Eintein non amava gli esperimenti pratici e, infatti, toccò a un fisico francese Jean Baptiste Perrin, osservando il movimento di particelle di resina in acqua, verificare le previsioni di Einstein. Egli dedusse le dimensioni della molecola d’acqua e quindi degli atomi che la compongono.

Concluse che gli atomi hanno un diametro di soli dieci miliardesimi di metro: per coprire la larghezza di un capello servono un milione di atomi messi in fila!

Il moto browniano:

Nel 1981, due fisici impiegati all’IBM di Zurigo, Gerd Binnig e Heinrich Rohrer, riescono in un’impresa che sembrava impossibile: fotografare gli atomi. Inventarono il microscopio a scansione per effetto tunnel (STM) che non utilizza lenti ma un sottilissimo ago. L’ago, talmente sottile che la sua punta è formata da pochi atomi, viene fatto scorrere sulla superficie del campione da esaminare in modo che l’estremità si trovi a distanza piccolissima dalla superficie degli atomi. Se si applica una piccola differenza di potenziale tra l’ago e il campione, tra i due si produce una piccolissima corrente elettrica (per un fenomeno quantistico chiamato effetto tunnel) che viene rilevata e amplificata. L’intensità della corrente varia a seconda della distanza tra la punta dell’ago e il campione. Facendo scorrere l’ago lungo la superficie, si registrano le piccolissime variazioni di corrente che sono poi tradotte in immagine. Dato che le nuvole elettroniche sporgono dalla superficie del campione e sporgono maggiormente in corrispondenza della posizione dei nuclei attorno ai quali sono avvolte, il microscopio STM produce una mappa dettagliata della posizione degli atomi. Ecco due esempi di immagini prodotte con l’STM:

 

Atomi di Oro

Atomi di Oro

Atomi di Carbonio (da una superficie di grafite)

Finalmente, dopo duemilaquattrocento anni, gli atomi immaginati da Democrito si sono lasciati fotografare!

Gli argomenti principali di questo articolo sono tratti dal bellissimo libro di Marcus Chown, The Magic Furnace: The Search for the Origins of  Atoms.