Il frate e Nino

Quel frate venne a mangiare e a dormire a casa mia per i giorni che doveva tenere le missioni nella piccola chiesetta del paese.

Era pieno inverno e non c’era certo il riscaldamento nella grande casa dei Mariét.

Un mattone riscaldato e avvolto in uno straccio doveva riscaldare un po’ il letto.

Per noi bambini la mamma riscaldava alla fiamma una coperta e avvoltici in quella ci portava a letto io e mia sorella. Poi lei ci metteva in mezzo e ci raccontava qualche favola per addormentarci fra le sue braccia.

Una mattina, come si faceva sempre, mi stavo lavando mani e viso dal catino appoggiato sulla piastra del fogher, vicino al fuoco; stavo preparandomi per andare a scuola.

Il frate disse: “Oggi me ne vado, aspetta Nino che voglio lasciarti un ricordo di me” e, nel dire così, mi prese la mano sinistra e mi slogò il dito pollice.

Mia mamma, spaventata, disse: “ma cosa sta facendo! Gli fate male!”

“No” disse lui “non gli farò male per niente”.

Veramente, un po’ di dolore l’avevo sentito ma cosa da poco e io rimasi a guardarmi quel dito che sembrava si rompesse quando io lo forzavo verso di me.

Passarono molti anni.

Era Pasqua di molti anni dopo a Venezia. Avevo allestito una mostra dei miei quadri di Coi. Coi con la neve. La mostra ebbe un buon successo; anche il luogo “La Scuola Grande di S.Teodoro” era un ambiente importante e avevo avuto il posto per la rinuncia, all’ultimo momento, di un grande pittore francese.

L’afflusso di gente era costante ed ebbi l’occasione di conoscere molte persone.

Un pomeriggio entrò un frate. Era vecchio e curvo e dopo aver osservato i quadri si rivolse a me dicendo: “E’ lei l’autore di queste opere? Io sono stato in quei posti e precisamente in quel paese, e d’inverno come lei li rappresenta; sono molti anni fa, per le missioni ed avevo alloggiato presso una vedova che aveva due bambini, oh se lo ricordo!”

“In che anno era?” gli chiesi.

“Verso gli anni trenta” disse lui.

Allora, molto commosso, gli mostrai la mia mano sinistra col pollice che scattava e sembrava si rompesse.

Egli, calmo, mi guardò e disse: “Nino!”.

Erano passati quarant’anni!

 

 

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