I giochi

La nostra fanciullezza fu tutta un gioco. Ci sembrava di vivere allo stato brado. Gli anziani non ci volevano vicini nemmeno quando pioveva e non si poteva uscire all’aperto. Allora, in quei giorni, inventavamo sempre qualcosa di nuovo pur di stare assieme. Si andava in qualche fienile a saltare sul fieno per comprimerlo, unendo l’utile al dilettevole; però ci raccomandavano di non avere in tasca dei chiodi o temperini o altri pezzi di ferro o metallo qualsiasi che potesse essere pericoloso per le mucche.

Si andava nelle soffitte a giocare con qualsiasi cosa: un giorno trovammo nella nostra soffitta una montra [una madia per fare il pane] e delle corde che servono per legare i colli di fieno: i fumàž; costruimmo subito una bella altalena attaccata ai travi del tetto e ci salimmo in 4 o 5 cercando di dondolarci; ma sul più bello si slacciò un fumàž e ci trovammo con la montra e tutto sul pavimento della soffitta con un tonfo tremendo.

Quando lo zio Massimo arrivò su tutto infuriato per vedere cosa succedeva, noi eravamo già tutti passati per uno stretto pertugio, svelti come gatti, nella soffitta dei Giaĉinti e … spariti.

Quando pioveva si andava anche sotto i Rož a giocare con le palline. Se era d’inverno e molto freddo ci radunavamo sul fornèl a giocare la tria o la dama o la tombola. Se era sotto Natale si andava a creta e si costruivano le statuine per il presepio. In ogni casa si faceva un presepio, ed eravamo noi bambini che ci occupavamo di questo, ma per noi era un gioco e cominciavamo in ottobre o novembre prima che venisse la neve a procurarci la creta, che tenevamo poi in umido con uno straccio sempre bagnato in un secchio.

Il muschio lo trovavamo vicino ai mulini sull’orlo del torrente. I sassi pure. La capanna e casette varie le facevamo noi col temperino, con il quale eravamo maestri.

Nelle nostre tasche non mancava mai un buon temperino (la brìtola) e, manco a dirlo, quello del Fino era quello più bello e che tagliava di più!

Con delle strisce di cuoio ci si costruivano anche le cinghie per gli sci e le racchette.

Ma quando il tempo lo permetteva, fuori nella neve!

Anche se le nostre mamme ci nascondevano gli scarponi perché non uscissimo, noi via lo stesso nella neve magari con le dambre, gli zoccoli o in scarpét [scarpe di stoffa con la suola di corda].

Si andava a slittare e al Fino aveva la slitta più bella e che correva più di tutte; ed era vero tanto che una volta venne giù dalla vara dei Vesco ad una velocità che, nella piazzetta, non riuscì a curvare andando a finire sotto la piazza a rompersi il naso sui sassi e pezzi di ghiaccio.

Ma non mollò, prese la sua slitta sulle spalle e, urlando, venne su verso casa con la faccia tutta sporca di sangue.

Nelle gare di sci voleva sempre essere davanti e se qualcuno gli chiedeva pista, lui si voltava e gli dava una racchetta sulla testa… come è successo a me una volta.

Allora per evitare questo si facevano le gare sempre a cronometro con grandi distanze sulle partenze.

Ma quando veniva la buona stagione chi ci teneva più in casa!

I boschi erano nostri, i prati falciati pure, il macereto del crep era il luogo che amavamo di più. I nostri giochi si protraevano quando si andava nel bosco con le mucche, o sulla montagna a fieno, o sulle mandre a mugole [pino mugo] e sulle propaggini del Pelmo a stelle alpine.

Tutto per noi era un gioco, liberi e felici sulla grande montagna.

Il Fino era con noi solo alla sera nella piazzetta del paese perché doveva seguire i suoi nei lavori dei campi e della fienagione. Lavorava come un grande ed aiutò anche il padre nella costruzione della nuova casera.

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